HANNO DETTO
Serginho si racconta: «Vittoria della Champions momento più alto della mia carriera al Milan, devo ringraziare Cesare Maldini e Ancelotti. Quanti ricordi con Berlusconi». E svela un retroscena su Thiago Silva
Serginho, indimenticato esterno del Milan, si è raccontato ripercorrendo tanti dei momenti trascorsi con la maglia rossonera: le dichiarazioni
Serginho, leggenda del Milan, si è raccontato alla Gazzetta dello Sport:
PERDITA DEL FIGLIO – «Non si può spiegare a parole la ferita che ti lascia un dramma così. Non mi abituerò mai a parlare della morte di Diego. Da quando non c’è più ho rimesso in discussione tutte le certezze che avevo. È il dolore più forte che un essere umano possa sopportare. Oggi vivo per lui, sono sicuro che ci aspetta un’altra vita in cui staremo insieme per sempre. Aveva un dolore alla spalla, ma non capivamo. Era un atleta, faceva Jiu Jitsu. Gli facemmo fare delle analisi, erano perfette. Poi, in un paio di settimane, è peggiorato. Ma quasi improvvisamente. So che la colpa è del fumo: passava tutto il giorno a ‘svapare’ con la sigaretta elettronica. Era diventato un vizio».
VICINANZA DEI TIFOSI DEL MILAN – «Tantissimo. Ho sentito tanto affetto nel momento più difficile, non lo dimenticherò mai».
ARRIVO AL MILAN – «Pensi che il giorno prima era venuto a vedermi Carlo Ancelotti, che in quel periodo allenava la Juve: facemmo un’amichevole a Fortaleza con la nazionale brasiliana. Lui ai bianconeri segnalò me, Dida e Marcio Amoroso… poi però arrivò Braida e anticipò tutti. Mi convinse in dieci minuti. Si presentò accompagnato da Edinho, un ex difensore con più cento presenze in Serie A con l’Udinese, che faceva da intermediario e traduttore. Tempo un mese ed ero in Italia agli ordini di Zaccheroni».
ZACCHERONI – «Un incubo! Passavamo almeno mezz’ora a fare sedute di tattica. Io mi chiedevo ‘Ma quando lo usiamo il pallone?’. Allenamenti in cui facevamo 11-0, cose per me inconcepibili. Ero triste, soffrivo il freddo e volevo andare via».
CESARE MALDINI – «Devo ringraziare lui e Ancelotti. Cesare Maldini mi ha salvato la carriera: mi diceva di pensare solo ad attaccare, con lui vincemmo 6-0 il derby. Io ero sempre il migliore in campo. Poi è arrivato Carlo e la musica è cambiata definitivamente. Eravamo una squadra incredibile, la più forte del mondo in quegli anni».
DOPPIA SEMIFINALE CON L’INTER – «Un’agonia, ricordo Berlusconi che entrò in spogliatoio a darci la carica. So che Nesta, Pirlo, Gattuso e gli altri se la vivevano molto male, complici anche giornali e tv. Noi brasiliani, invece, eravamo più sereni, lontani da tutta questa pressione».
LA CHAMPIONS MOMENTO PIU’ BELLO DELLA CARRIERA – «Sì, in generale la vittoria della Champions. Prima del rigore, con Buffon davanti, la porta sembrava piccolissima. Per fortuna, però, è andato tutto bene»,
ISTANBUL – «Io sono dell’idea che a Istanbul avremmo perso anche se avessimo giocato per una settimana intera. Era una serata maledetta, irreale. La parata che Dudek fece sul tiro di Sheva è sovrannaturale, ne ho parlato anche con lui anni dopo. In panchina, già prima dei rigori, eravamo demotivati e sicuri che sarebbe andata male. Lo dicemmo pure a Carlo: ‘Mister perdiamo, è stregata’. E infatti dal dischetto sbagliammo io, Pirlo e Shevchenko, i tre migliori tiratori dagli undici metri. Fu una questione mentale, non tecnica. O se vuole di stregoneria».
VOCI DI FESTEGGIAMENTI NEGLI SPOGLIATOI – «Tutte cazzate. Successe invece il contrario: litigammo tutti, volarono anche parole. Capitava spesso infatti in quella stagione di subire cali di concentrazione al rientro in campo. E si verificò anche a Istanbul. Ma si figuri se qualcuno ha osato festeggiare».
RICORDI CON BERLUSCONI – «Eccome, potrei scrivere un libro sul presidente. Era inimitabile, unico. Veniva spesso in spogliatoio, dando consigli di tattica e dicendo di dare spettacolo. Capitava anche che pranzasse con noi a Milanello. Le racconto questa: un giorno mi prese da parte per insegnarmi a difendere. ‘Ti spiego io come fare, devi giocare d’anticipo’, mi disse. E si mise in campo con una sua guardia del corpo e un paio di sagome a farmi vedere i movimenti».
RETROSCENA THIAGO SILVA – «Mi chiamò Galliani mi chiese di svolgere questo ruolo: una specie di ponte tra la società e il Brasile. Abbiamo fondato un Milan Junior Club, coinvolgendo tanti ragazzi. In più, cercavo di suggerirgli alcuni talenti, girando per il paese. Gli segnalai Miranda e Thiago Silva, Braida si innamorò del secondo. Aveva già un pre contratto con l’Inter e sul giocatore c’era pure il Villarreal. Ma ci parlammo e… scelse i rossoneri in cinque minuti. Lo convinse il blasone del club e l’idea di crescere al fianco di uno come Sandro Nesta. Con il senno di poi direi che ha fatto bene, con buona pace dei cugini nerazzurri».