Maldini: «Uscite dopo la partita? Si, ma quando si vinceva»
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Maldini: «Uscite dopo la partita? Si, ma quando si vinceva»

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Maldini: «Uscite dopo la partita? Si, ma quando si vinceva». Le parole del direttore tecnico del Milan a m2o

Paolo Maldini parla così della vita di un calciatori fuori dal campo. Le parole del direttore tecnico del Milan in un podcast di m2o, riportate da TMW.

«Uscivamo dopo una vittoria? Sì, direi di sì. Vincevamo spesso e questo aiutava. È normale, non te la senti di uscire se la partita va male, la vivi come una vergogna, la sconfitta, dovrebbe invece far parte del mondo dello sport. Devi fare sempre molta attenzione, puoi suscitare qualche reazione della gente. Giocando anche le Coppe Europee e vincendo anche lì, alle volte si faceva doppietta.»

Sui social: «I social hanno una vita propria, fa parte della vita del calciatore. C’era molta più libertà perché c’erano meno fotografi, meno gente curiosa, potevi fare la tua vita in maniera più libera e normale. L’idea che escano più o meno, non lo so… Ho conosciuto il mio fisico strada facendo, ho imparato a gestirmi, anche sbagliando. Prova, sbaglia ma impara. Questo è quello che dico loro, dovrebbe farlo ogni papà con i propri figli.»

Si possono ottenere risultati anche con del tempo allo svago? «Avevo diritto a divertirmi, c’è un’età per tutto. Questo mi ha aiutato a conoscere altre persone, misurarmi con altre cose. A vent’anni ti devi anche divertire. A livello lavorativo ho iniziato a essere un professionista a 16 anni, una parte di quell’età l’ho persa, non uscivo mai al sabato e alla domenica. Quando poi mi sono consolidato da titolare ho avuto la voglia e la forza di uscire. È un processo, devi imparare. La persona più preoccupata era mio papà, è stato calciatore, aveva una mentalità anni 60 e per uscire dal ritiro dovevi scappare.»

Obiettivi: «Sì, uscivo, ma sono astemio. Non bevo, non fumo, non mi sono mai drogato. L’obiettivo della mia vita era quello di essere performante nel mio lavoro. Mi ero posto degli obiettivi chiarissimi, talvolta anche sbagliando. Quello credo sia un processo, in maniera istintiva, un po’ provando e un po’ sbagliando, superando i miei limiti. Quando la sera fai veramente tardi, alle 8 devi fare allenamento… Ti metti anche alla prova, come starò il giorno dopo? Io ero forte fisicamente e mi misuravo spesso contro te stesso.»

Qualche collega che esagera: «È una scelta, alle volte è una scusa, non capire il momento. Riuscire a tenere i piedi per terra è fondamentale, devi avere un’educazione tosta. A casa, ma anche con le giovanili. Ho iniziato a dieci anni, pensavo agli orari, al sacrificio, al giocare per la squadra. Prima andavi a scuola fino all’1, in giro c’erano un sacco di cose che ti potevano portare a fare altro. Ti ponevano degli obiettivi, delle regole, degli orari. Non dovevi pensare a te ma alla squadra. Sono stato contento quando i miei figli hanno deciso di fare quest’esperienza.»

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