De Rossi: «Ecco perchè lascio la Nazionale. Il mio sarà un calcio senza etichette»
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De Rossi: «Ecco perchè lascio la Nazionale. Il mio sarà un calcio senza etichette»

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Daniele De Rossi si è raccontato in una lunga intervista al settimanale Sportweek: le parole dell’ex centrocampista della Roma

Daniele De Rossi si è raccontato in una lunga intervista al settimanale Sportweek. Queste le parole dell’ex centrocampista della Roma ed ex collaboratore tecnico di Mancini.

PERCHE LASCIARE LA NAZIONALE – «È stata una scelta difficile perché mi sono trovato splendidamente. Io ho dato forse un 1 per cento e loro in cambio mi hanno permesso di vivere un’esperienza indimenticabile. Sarò sempre debitore verso la Nazionale. Però ho chiaro cosa voglio fare: allenare. E per quanto possa sembrare strano, visto che ho solo 38 anni e non mi sono mai seduto in panchina, mi sento pronto. Continuare con la Nazionale, aspettando la prima panchina che si libera, non avrebbe senso e non sarebbe corretto verso la Federazione e verso Mancini che con me si è comportato in modo fantastico». 

COME SEI ENTRATO NELLO STAFF AZZURRO – «Quando lasciai la Roma, il mister mi invitò a casa sua e mi offrì di diventare un suo collaboratore. Lo ringraziai, ma rifiutai perché avevo in testa un sogno: giocare con la maglia del Boca Juniors… Mi guardò come se fossi matto, ma mi lasciò una porta aperta: “Anche il giorno prima che cominci l’Europeo, se avrai voglia di unirti a noi chiamami. Ci serve uno come te».

GRATIS – «Avrei pagato io per fare questa esperienza. Tra Covid, corso allenatori a singhiozzo, patentino rinviato, avevo bisogno di iniziare».

PRIMI PENSIERI – «Mi sono detto: non devo fare troppo il freddo, cambiando il rapporto con giocatori che conosco da anni, ma neanche essere il compagnone di una volta. Sicuramente saranno bravi loro a non coinvolgermi e a non mettermi in difficoltà. Coverciano, pronti via: “Bella Daniè, l’hai portata la PlayStation?”. E meno male che puntavo sulla loro sensibilità (ride, ndr). Il timore più grande però era entrare in uno staff collaudato. Non volevo pensassero che fossi lì per farmi vedere, scalpitare o rubare spazi. Preoccupazioni inutili: i valori umani di questo gruppo sono così solidi che non esistono gelosie. C’è una tale armonia che mi sono sentito sempre libero di dire la mia. Giocatori e staff sono stati una cosa sola, ma quando 60 persone sembrano tutte belle e buone il merito principale non è di quelle 6 0ma di una sola, quella che le guida». 

ARRIVARE FINO IN FONDO – «Se l’ho pensato? Sì, per la qualità, la continuità e la coralità del gioco, la compattezza, l’identità forte e lo spirito di gruppo che altri non avevano e ci hanno permesso di affrontare tutti senza paura. Poi è chiaro che per arrivare ad alzare la Coppa ti deve anche dire bene ogni tanto. Successe anche a noi azzurri del 2006, perché se Francesco (Totti, ndr) non segna quel rigore all’ultimo minuto con l’Australia…».

MOMENTO DI SVOLTA – «Beh, se contro l’Austria Arnautovic fosse partito 10 centimetri dietro, oggi forse non staremmo a raccontare questo trionfo. Quel gol annullato è stato l’attimo fuggente che abbiamo colto. Lì è scattato qualcosa».

RIGORI – «La vita può cambiare con un solo tiro. Siamo gli eroi nel 2006 per un rigore avversario che ha preso la traversa interna. Non è accaduto nel 1994 per uno nostro calciato alto… Abbiamo vinto l’Europeo grazie ai rigori in semifinale e in finale. Però non è solo fortuna o come tirare una monetina. C’è studio, preparazione, abilità, precisione, freddezza, ci sono tante cose dietro un calcio di rigore». 

DONNARUMMA – «Per segnare a Gigio devi tirare benissimo, e spesso non basta. Oggi è un portiere senza limiti, può raggiungere tutto, compreso il Pallone d’oro. Governa la difesa, riprende il compagno se sbaglia e sta acquisendo le malizie e il carisma della coppia di killer che gli gioca davanti».

BONUCCI-CHIELLINI – «Sono due mostri. Quando giocavano con Barzagli, consideravo lui il più completo: un fenomeno. Tra Federer-Bonucci e Nadal-Chiellini, per me Barzagli era Djokovic, un mix perfetto. Pensavo che senza di lui e Buffon avrebbero sofferto, e invece… Sono affamati di vittorie e professionisti incredibili, con una conoscenza perfetta del proprio corpo. Si allenano e fanno prevenzione più di tutti: da sempre».

VINCERE È L’UNICA COSA CHE CONTA – «È una frase che non apprezzo. Non rispecchia quello che per me è lo sport. Se la Nazionale avesse perso ai rigori con l’Inghilterra avrebbe comunque lasciato un ricordo indelebile negli italiani. Il calcio è pieno di storie bellissime di chi alla fine non ha vinto. Ma di certo quello che pretenderò da tecnico è che i miei giocatori, da quando si svegliano a quando vanno a dormire, abbiano la convinzione e la voglia di vincere la domenica. Perché vincere non è l’unica co-a che conta, ma deve essere l’unico tuo obiettivo. Questa è per me la mentalità vincente».

VIALLI E SPINAZZOLA – «Vialli ha trasmesso tanto a tutti, è un lottatore, un uomo onesto che quando parla emoziona. L’infortunio di Spinazzola ha dato al gruppo una motivazione in più: regalargli la coppa».

INGLESI CHE SI TOLGONO LA MEDAGLIA – «Non so fingere: ho trovato questa polemica alimentata da noi italiani patetica. Ho visto decine di finali in cui chi ha perso si è levato la medaglia. Sono rimasti lì 20 minuti, hanno visto noi alzare la coppa a casa loro, qualcuno ha pure applaudito. Che dovevano fare di più? Abbiamo vinto, siamo stati i più belli, gli abbiamo urlato in faccia il nostro orgoglio, non facciamogli pure la morale. Che non è nel nostro Dna, visto che non siamo degli stinchi di santo. Hanno fischia- to il nostro inno? Brutto, certo. Ma quante volte i nostri tifosi hanno fischiato quello altrui e Buffon doveva chiamare l’applauso? Sono stato un buon giocatore, ma se serviva anche un figlio di p…. Chiellini lo ami se sta nella tua squadra, altrimenti lo odi. Io da avversario in certe partite gli ho fatto pure qualche entrata dura. Noi siamo questi: azzurri, non principi azzurri». 

POLEMICHE PER FESTEGGIAMENTI SUL PULLMAN – «Il problema dell’innalzamento dei contagi non credo sia dipeso da quel tratto di strada, dopo aver visto giorni di feste nelle piazze e migliaia di persone davanti ai maxischermi durante tutto l’Europeo. Se polso fermo doveva esserci, era giusto mostrarlo anche prima. Gli enti preposti dovevano organizzare meglio il nostro rientro e l’inevitabile accoglienza. Detto questo, non è neanche normale che se il ministero dice di no, poi cambi idea perché i calciatori chiedono un’altra cosa». 

ESPERIENZA – «Credo che questa esperienza mi sia servita per attraversare metaforicamente una porta. Il riscaldamento l’ho fatto perché allenavo i portieri e altrimenti mi sarei stirato, ma mi sarebbe piaciuto da morire giocare la finale. Però mi è piaciuto altrettanto leggere la partita, gestendo le emozioni, in tribuna in giacca e cravatta. Quel tuffo sul tavolo è stato un riconoscimento per quello che i ragazzi avevano fatto. In certi momenti reprimere la gioia non ha senso. Ognuno la vive a modo suo: c’è chi piange, chi urla, chi si butta su un tavolo».

DE ROSSI ALLENATORE – «La percentuale del calciatore nel tempo andrà sempre più diminuendo, ma non vorrei perderla del tutto. Ricordare cosa si prova in certi momenti prima, durante e dopo le partite credo sia un valore aggiunto per capire i giocatori e creare la giusta empatia. Perché il calcio non è solo filosofia e libri di schemi, ma anima ed emozioni, stress e motivazioni».

ALLENARE EX COMPAGNI – «Vantaggio o rischio? Dipende dalla tua personalità e dalla loro intelligenza. Possono aiutarti se non pretendono un trattamento di favore. Non è un problema se qualcuno mi chiama Daniele. Al Boca tutti chiamavano il mister Gustavo. Basta che non manchi mai il rispetto. Con i giocatori puoi essere più o meno amico, l’importante è essere sempre chiaro e onesto: se metti una maschera, se sei falso, ti scoprono subito ed è finita».

IL CALCIO DI DE ROSSI – «Alt. Quando giocavo, sentire un allenatore che parlava del “suo” calcio già mi urtava. È facile rispondere che amo una squadra offensiva, votata all’attacco, ma che rispetti gli equilibri. Ma lo possono dire tutti. Il mio calcio è libero, senza etichette. Deve esserci il giusto mix tra le idee che uno ha, la qualità della rosa, gli obiettivi da raggiungere, la conoscenza del club, la sua storia e il suo Dna che non va tradito. Rispettando le radici e la tifoseria. Ci sono club di lotta e altri di governo. Non c’è il mio calcio, ma quello che credo sia giusto proporre in base a tante componenti. Mi piace costruire il gioco dal basso, ma se ho un portiere con i piedi fucilati o due centrali tecnicamente inadatti, cerco alternative. A meno che non sei l’allenatore del Psg e ti fai comprare pure Messi…».

ALLENATORI NEL PASSATO – «Farei torto a qualcuno. Tra Roma e Nazionale ne ho avuti tanti in momenti diversi della mia carriera. Avere a 18 anni Capello lo augurerei a qualsiasi ragazzo. Il primo Spalletti è stato geniale. Luis Enrique proponeva un calcio nuovo e umanamente mi ha dato tanto. Conte è un martello ma cosa vuoi dire a uno che dovunque va vince il campionato? Con Zeman non mi sono trovato bene, ma il suo gioco offensivo era spettacolare. Ranieri e Di Francesco mi hanno fatto sognare scudetto e Champions League».

ALLENARE LA ROMA – «Tutti sanno cosa è stata e sarà sempre la Roma per me: una seconda pelle, un amore appassionato e puro. Certo che mi piacerebbe allenarla».

VICE DI MOURINHO – «Due minuti dopo l’annuncio del suo arrivo, il mio telefono è stato invaso di messaggi: “Sarai tu il vice…”. Era il desiderio della gente, per la quale io sono come un fratello. Ma a chiunque sostiene che Mourinho potesse avere bisogno di me consiglio di andare su Wikipedia e vedere tutto quello che ha vinto. Ecco, vi assicuro che l’ha vinto senza di me…».

COSA DARÀ MOURINHO – «Ancora prima di arrivare aveva già dato tanto. Aspettative, sogno, entusiasmo. Quello di cui si ciba ogni tifoso. Dopo l’addio di Totti e il mio, trovare una nuova identificazione era una necessità forte del tifoso della Roma».

RITORNO DI TOTTI – «Mi sembra sereno e soddisfatto del suo nuovo ruolo di agente, che gli permette anche di godersi la famiglia. Ma spero anch’io di rivederlo un giorno nella Roma. Invece di ripetere che non era pronto, che avrebbe dovuto studiare, io credo che Francesco avrebbe meritato una vera chance come dirigente, perché lui sa tanto di calcio. Non essere valorizzato e considerato lo aveva spento e deluso. Mi faceva male vederlo così».

TECNICI NUOVI IN SERIE A – «Ci aspettano non solo partite ma anche conferenze stampa pirotecniche. Sono tutti affamati di vittorie o di rivincite, peccato non ci sia Conte, forse il più  agonista di tutti».

POLE SCUDETTO – «La Juve, come lo scorso anno d’altra parte. L’Inter ha perso tre pezzi da novanta, sarà dura ripetersi. Il Milan proseguirà sul solco tracciato. L’Atalanta è la storia più bella del calcio italiano degli ultimi dieci anni, merita di vincere qualcosa. Il Napoli è l’ideale per Spalletti: può sognare. Sarri farà giocare bene la Lazio. E Mourinho può essere una bomba atomica a Roma. Ci sarà da divertirsi».

LE ALTRE – «Sono curioso di vedere la Fiorentina di Italiano. Il Cagliari ha una rosa importante, il Bologna di Sinisa darà fastidio a tutti, Juric riporterà il Torino dove merita. Lo Spezia di Thiago Motta potrebbe stupire».

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