Maldini: «Niente Top Player? Ecco quando potremo permetterceli»
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Maldini: «Niente Top Player? Ecco quando potremo permetterceli»

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Paolo Maldini, direttore dell’area tecnica del Milan, ha così parlato delle prospettive future del club rossonero. Le sue parole a So Foot

Intervistato da SoFoot, Paolo Maldini, direttore dell’area tecnica del Milan, ha così parlato delle prospettive future del club rossonero:

«Abbiamo avviato il nostro progetto prima che si verificasse questa pandemia. E ora tante squadre ci stanno guardando: perché il Milan quest’anno? Perché il Milan è riuscito ad essere autosufficiente? Come ha fatto il Milan a ringiovanire la rosa? Credo che siamo presi come esempio di un club virtuoso e vedremo se vinceremo anche in futuro».

ACQUISTI TOP – «Per quanto riguarda gli acquisti di giocatori, cerchi di prendere quelli che ritieni più funzionali al tuo progetto, e c’è anche un mercato di persone che lavorano con i club che sono gli scout, gli osservatori, i dirigenti. Spetta alla proprietà e ai dirigenti dei diversi settori scegliere le persone giuste. Credo che il Milan, in Italia senza dubbio e anche in Europa, sia considerato un club virtuoso. Ad oggi il Milan non può permettersi di avere un top player dal punto di vista finanziario. Quando saremo stati in Champions League per quattro o cinque anni di fila allora potremo fare altri sacrifici economici».

L’INTERVISTA NEL 2014 – «Spesso il titolo di un’intervista non è quello che si dice esattamente, infatti è sempre la parte che mi piace meno. Ti ricordi quello, ma c’era altri concetti. All’epoca era Berlusconi il presidente, ma si stava prendendo un’altra strada rispetto al passato. C’erano due amministratori delegati (Galliani e Barbara Berlusconi, ndr) e non ha funzionato. Ma se devo parlare della presidenza Berlusconi o di Galliani, posso solo fare i complimenti. Il club che hanno costruito è stato invidiato da tutti, oggi non direi più quelle cose, anche perché la mia visione è diversa rispetto a dieci anni fa». 

LA STORIA – «La verità aiuta sempre, il progetto e i giocatori, oltre che il progetto. E per me la verità è chiara, sono passati 8 anni dall’ultima Champions League. E’ un fatto. Se avessimo detto: quest’anno vinceremo tutto, se dicessimo ogni anno che vogliamo vincere tutto, sarebbe un errore. La gente capisce quando gli idci che vuoi ricostruire il club, che vuoi tornare competitivo in due anni. La gente questo lo capisce. C’è più comprensione nei confronti dei giocatori, hanno bisogno di tempo. Un anno fa eravamo decimi, fondamentalmente, ed eravamo visti come una squadra perdente. Nonostante questo c’erano segnali positivi, certamente c’è anche il tempo, cambiare strategia ogni anno non aiuta, fai pressione sui giocatori, è tutto più complicato. I calciatori conoscono la maglia, la storia del club, San Siro. Tutto ti mette pressione. Se dai un’idea più precisa dei tempi e di dove vuoi andare, questo può solo aiutare». 

STADI VUOTI –«Non lo so se San Siro vuoto ci ha aiutato o meno, all’inizio può anche essere. Oggi però siamo la squadra con più punti in campionato da un anno. Nel periodo pre-pandemia abbiamo avuto una media di 55.000 spettatori. Adesso saremmo a 70.000. La pressione qui se le cose vanno male può essere davvero forte, ma se vanno bene invece San Siro ti trascina.È un peccato che le persone non abbiano potuto godere della squadra vivace, frizzante e coraggiosa dell’ultimo anno. Non so cosa accadrà in futuro, ma a causa de Covid la situazione non cambierà di anno in anno, ma di mese in mese. Speravo nella riapertura degli stadi quest’anno sia dal punto di vista economico, ma il lato sportivo non va dimenticato. Speravo che gli sponsor alle partite che avrebbero voluto investire ancora di più, e tutto ciò non è accaduto. Quindi non possiamo nemmeno immaginare come sarà la prossima finestra di trasferimento. Questa cosa può spaventare. Noi continuiamo con il nostro intento, continuiamo con l’idea di tagliare i costi, perché vogliamo diventare davvero un club virtuoso. Abbiamo iniziato questo prima della pandemia, quindi eravamo, in un certo senso, più preparati di altri».

SU IBRAHIMOVIC – «La verità è che il club è al di sopra di chiunque perché i giocatori passano e il club resta. Ci sono giocatori che lasciano un segno diverso di altri e Zlatan ne fa parte. E’ un motivatore e in sé un personaggio che può sembrare difficile da gestire, ma per chi sa sfruttarne tutte le sue qualità è una risorsa enorme. Il club è al di sopra di ogni giocatore e vale per tutti: è il nostro modo di concepire il mestiere di dirigente e sarà sempre così».

RITORNO AL MILAN – «Non ho mai considerato il mio ritorno obbligatorio, né ho mai ritenuto obbligatorio che le persone che lavorano nel club mi chiamassero. Semplicemente perché ho fatto carriera fino al 2009, poi ho vissuto altre cose, perché la vita mi ha regalato nuove esperienze, a volte lontane dal calcio, e quindi non è come se vedessi questa esperienza come necessaria. Certo, il Milan è e sarà sempre la mia passione, come il calcio. Se un giorno la possibilità esisteva, volevo viverla come attore, volevo viverla recitando un ruolo, rispettando quello che era stato il mio passato all’interno di questo club. Sono stato chiamato quando il club era di proprietà cinese, ma non avevo necessariamente in mente di avere un ruolo operativo all’interno del club». 

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