Franco Baresi a Radio Rossonera: «Milan? Mai pentito di essere rimasto»
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Franco Baresi a Radio Rossonera: «Milan? Mai pentito di essere rimasto»

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Franco Baresi è stato intervistato da Radio Rossonera in occasione dell’uscita del suo libro “Liberi di sognare”. Le parole dell’ex Milan

Franco Baresi è stato intervistato da Radio Rossonera in occasione dell’uscita del suo libro Liberi di sognare. Le parole dell’ex capitano del Milan e della Nazionale Italina.

CALCIO – «Per me è stato tutto, fin da quando avevo pochi anni che coltivavo questa passione innata. Ho scritto il libro proprio per esprimere le mie emozioni, quello che ho provato per il calcio da bambino fino a oggi».

CAMPAGNA – «La fortuna di crescere in libertà, senza pressioni, è importante. L’emozione grande quando sono arrivato al Santa Lucia è stata grande. L’ho provata solamente nell’alzare la coppa, quello è un momento che aspetti tutto l’anno. Dopo tanti anni di città a Milano la campagna fa piacere».

CAPITANO – «Mettersi la fascia al braccio è uno stimolo in più. Io quando l’ho indossata ho cercato sempre di essere me stesso, mettendomi anche nei panni dei miei compagni, anche quelli meno bravi, ed essere sempre di aiuto. I compagni alla fine giudicato per quello che dai: quando la mia prestazione era positiva anche quello dell’intera squadra era positiva».

SCOMPARSA DEI GENITORI – «È un momento dei più dolorosi della vita. Sono diventato quello che sono anche per la mancanza dei genitori. Avevo voglia di rivalsa e di non deludere le persone che mi hanno accompagnato in questo momento molto difficile».

1982 – «È stato l’anno della svolta della mia carriera. Dopo aver vinto uno Scudetto nel ’79 gioco in Serie B, poi quell’anno vengo convocato per la prima volta in nazionale ai Mondiali. Torno da campione del mondo e gioco di nuovo in Serie B e proprio nell’82 vengo investito della fascia di capitano. L’anno seguente torniamo in Serie A, poi arriverà Sacchi. Quello è stato l’anno della mia ascesa».

MILAN – «Il rapporto con questa società dura da quando avevo 14 anni anche perché è stata la mia ancora di salvezza: mi ha aspettato, mi ha fatto crescere e mi ha fatto diventare quello che sono. Il Milan per me è come una seconda famiglia. Sono ancora nel club dopo ancora una vita, posso solo dire grazie. Sono rimasto sempre serenamente senza essermi mai pentito di niente».

SQUADRA DI OGGI – «Il calcio di oggi è cambiato molto. Nell’attuale Milan mi sembra esserci un bell’ambiente con giovani che hanno spirito. Ci sono ambizione e voglia di stupire. Questo è bello e se stanno arrivando i risultati vuol dire proprio che c’è un bel gruppo».

PIOLI – «Dopo il lockdown è riuscito a compattare il gruppo e a coinvolgere i giocatori nel modo giusto. L’allenatore riesce a tirare fuori il meglio dai calciatori e insieme riescono a proporre un calcio propositivo, di livello, coinvolgendo tutti, dai più giovani ai meno giovani».

ASPETTO UMANO – «Non dobbiamo mai scordare che prima del giocatore ci sia la persona. L’aspetto umano è alla base, è quello che ti fa fare la differenza nell’attaccamento, nella prestazione, nella solidarietà, nella disponibilità tirando fuori tutti quei valori che ti danno la forza di fare meglio».

RITORNO IN NAZIONALE – «Avevo già 32 anni e non ci eravamo qualificati per gli Europei. Era appena arrivato Sacchi che stava formando un nuovo gruppo e pensai che da una parte non potessi fare sia Nazionale sia club d’accordo con il Milan. Poi tornai anche grazie a Sacchi, Matarrese e Galliani che mi convinsero anche se non è che tornai a malincuore, ma tornai convinto di poter fare due anni bene fino al Mondiale del ’94».

LA FINALE MONDIALE DEL ’94 – «La squadra soffriva ma dimostrava di avere un grande carattere. Non pensavo di giocare vista l’operazione al menisco ma tra squalifiche e infortuni di alcuni miei compagni Sacchi ebbe il coraggio di mandarmi in campo. Conoscendomi sapeva che se avessi detto che me la sentivo avrei dato tutto e sapeva quel che avrei potuto dare. È chiaro che dentro di me ci fossero delle paure: giocare una finale dopo che la squadra era arrivata fino lì era una responsabilità ancora maggiore».

SOGNI – «Ognuno deve sempre credere nei propri sogni perché si possono raggiungere degli obiettivi che mai nessuno immagina, come è capitato a me perché mai avrei immaginato quando avevo 14 anni di arrivare dove sono arrivato e vincere quanto ho vinto. Serve sacrificarsi per ogni professione, al di là del calcio, con amore. Non bisogna dimenticare mai l’aspetto umano».

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