Ibrahimovic: «Da bambino giocavo a calcio, è la mia adrenalina»
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Ibrahimovic: «Da bambino giocavo sempre a calcio, è la mia adrenalina»

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Ibrahimovic

Le parole dell’ex attaccante rossonero al Festival dello Sport, che racconta tutta la sua carriera, dall’infanzia al Milan

L’ex attaccante del Milan, Zlatan Ibrahimovic, si racconta al Festival dello Sport di Trento. Di seguito le sue dichiarazioni:

IL BAMBINO ZLATAN – «Tanti casini come tutti i bambini. Giocavo sempre a calcio, ero bravo a scuola, ma soprattutto con il pallone. Giocavo sempre a pallone e a calcio. È la mia adrenalina, la mai energia. Rimane sempre l’identità del ghetto. Sei più maturo, ma è sempre quella identità. La fai sempre con eleganza»

AJAX – «All’inizio era difficile perché si aspettava che fossi il nuovo Van Basten . Era la mai prima volta fuori Svezia, con tanta pressione per portare risultati. Mi pesava questo paragone. Però non ho mollato, ho sempre lavorato, avevo fiducia in me stesso ma non sempre dipende da te. Mentalmente diventavo però più forte. I restanti anni sono andati meglio»

RAIOLA – «Primo incontro? Eravamo al ristorante giapponese, io arrivo con la bella macchina e e un bel orologio. Entro con Mino da solo e fa un ordine per otto persone. Ha detto che ci pensava lui. Mi ha detto che con queste statistiche non mi avrebbe portato da nessuna parte. Io ho risposto con quelle statistiche anche mia mamma mi avrebbe venduto. Ho conosciuto una persona fantastica, è diventato come un papà e come un amico. Siamo cresciuti insieme, siamo diventati forti insieme. Poi lui è diventato il più forte di tutti nella sua categoria e io nella mia»

JUVENTUS – «Incontro con Capello? Lui mi diceva: “Ti tiro fuori tutto l’Ajax”. Lui voleva che io fossi più diretto e completo. Il miglior modo per essere utile per la squadra era fare gol. Anche lui mi paragonava a Van Basten: io ero più tecnico, ma il suo movimento era migliore. Trezeguet? Ricordo che mi diceva che mi aspettava avanti. Poi all’inizio c’era tanta adrenalina. Poi ho capito mentalità italiana nell’attacco italiano. Ho capito che qua devi giocare bene e fare gol. Allora ho risposto che anche io l’avrei aspettato avanti. Scudetti? Sono 38. Perché abbiamo lottato tutti i giorni per tutte le partite, dimostrando che eravamo i più forti in Italia»

BALOTELLI – «Balotelli? Lui ha perso tutte le occasioni che ha avuto. Leao come Balotelli con il colpo di tacco? No. Se avesse fatto un gol, sarebbe stato un genio visionario. C’è un motivo se lui è in campo e Balotelli è in tribuna»

INTER – «Mancini mi dava fiducia e responsabilità. Con Mourinho era una situazione diversa. Sentivo che stava crescendo per raggiungere gli obiettivi. Bisognava prima vincere lo scudetto della Champions e io ho riportato i neroazzurri in vetta alla classifica di Serie A»

BARCELLONA – «Ero carico dopo tre anni di Inter, per mia crescita volevo andare avanti e crescere ancora di più. Volevo provare altre sfide, soprattutto contro me stesso. Volevo dimostrare le mie qualità in tutti i giardini. Semifinali contro l’Inter? Se c’era il Var era un’altra situazione. Abbiamo perso e loro hanno fatto bene. Con il Barcellona sono stato il più vicino alla Champions, era la squadra più grande. Si faceva come minimo la semifinale»

MILAN – «Non era un momento facile al Barcellona perché l’allenatore mi voleva vendere assolutamente. Il Milan parlava con Mino, poi la situazione è diventata più calda. Tutti i calciatori rossoneri, dopo l’amichevole con il Barcellona, dicevano che sarei tornato con loro. Ronaldinho mi ha preso per mano e ha detto: “Dai andiamo a casa”»

BERLUSCONI – «Avevo un buon rapporto con Berlusconi, era una persona con un’aurea forte. Mi stimava tanto per come faceva le cose, aveva carisma. Lui era mister Milan. Mi ha dato la possibilità di sorridere ancora, è grazie a lui che ero al Milan, insieme a boss Galliani. Parlavamo spesso, di tante cose. Mi diceva come giocare e come muovermi»

PSG – «Avevo detto a Mino che non volevo andare da nessuna parte, che stavo bene al Milan. Mino mi ha risposto che era già fatta per il PSG. Non riuscivo a giocare fuori casa, con 2mila persone, dopo le 80mila di San Siro»

MANCHESTER UNITED – «In Inghilterra avevo 35 anni, ma dopo il PSG volevo cambiare, volevo sfidarmi. Mourinho mi ha chiamato e mi ha chiesto di andare. Lì mettevo tutta la mia carriera in gioco, chiamavo cinque giocatori per chiedere e tutti mi dicevano no. Io ho detto sì e sono andato verso l’Inghilterra»

ROVESCIATA – «Prima di tutto bisogna pensarlo quel gesto. Come con il tacco di Leao. Solo Leao poteva farlo o solo Leao poteva pensarlo di farlo. Ho pensato a provare a fare qualcosa per fare una finta al portiere. Ho pensato: “O sei genio o non lo sei”»

CALCIO USA – «Con Messi possono tornare a seguire il calcio dopo di me»

ULTIMO SCUDETTO MILAN – «È lo scudetto più soddisfacente, più degli altri messi insieme. La squadra non era favorita, neanche top 4. I giocatori non erano superstar, non era una situazione in cui non era abituato a ritrovarmi. Nel Milan poi non si capiva se vendevano, se entrava nuovo dirigente, nuovo allenatore, poi il Covid. Da dentro eravamo uniti. Facevamo un passo alla volta. Chi era pronto mentalmente è rimasto, chi non era pronto se n’è andato via. Poi piano piano si è formato questo gruppo: mai avuto un gruppo così collettivo, un’atmosfera troppo forte. Non eravamo fenomeni, solo io dai (ride, ndr). Ognuno ha usato la situazione per far crescere tutti. Quando è rientrato il gruppo, abbiamo avuto maggiore carica. Dopo la partita con il Sassuolo, vedo due o tre persone che piangevano. Lo staff piangeva. Da lì capisci cosa hai fatto, era una cosa incredibile. Lì ho capito che sono riuscito a fare quello che mi ero prefissato. L’infortunio pesante non mi ha allontanato dalla squadra, ho provato a fare quello che riuscivo a fare. A Tomori ha detto che vincere qua è tutt’altra cosa»

TONALI – «Primo anno era troppo tifoso. Poi gli ho detto basta: sei troppo tifoso. Gli ho detto che bisognava fare la differenza, cioè fare la differenza ai tifosi. Il secondo anno si è sbloccato, però il talento si vedeva. Giocare con il Brescia e giocare con il Milan è una grande differenza. È un’altra mentalità, altri obiettivi. Quando un giocatore non sta facendo il massimo non vuol dire che sta facendo male, vuol dire che gli serve il tempo»

CASO SCOMMESSE – «So poco di questa situazione. Prima bisogna capire di giudicare, non è una cosa si fa. Se è malato bisogna aiutare Tonali»

ZLATAN O LEAO? – «Chi è meglio? Zlatan, ma Zlatan ha creato Leao»

ADDIO MALDINI – «Ho un buon rapporto con Paolo, dal primo giorno che sono arrivato. Ho conosciuto prima il dirigente, poi la persona. Non era una situazione facile dal punto di vista della squadra, ma non portava nulla nel club. Era sempre presente, tutti i giorni in allenamento. Parlava tutti i giorni con Pioli e giocatori. Secondo me ha fatto un gran lavoro, ha vinto e quando si vince è una cosa collettiva»

LUKAKU – «Lukaku sta giocando nella città del Papa? Significa che sta giocando per me. Non mi aspettavo quel suo atteggiamento nel derby. È colpa di voi giornalisti che l’avete trasformato così, non era così prima (ride, ndr). Lui faceva quello che sapeva fare, cioè i gol. Lui era strano, non era un ragazzo carino. Io ho difeso i miei compagni. Se gioco un’altra partita, ho detto: “Vediamo cosa succede”. Non era personale, ma mi ha sorpreso la situazione»

FUTURO – «Ho una libertà differente, prendo tempo, sto facendo cose per me stesso. Ci sono più offerte adesso rispetto a quando giocavo. Non voglio però entrare in una situazione come simbolo. Voglio iniziare da zero. Incontri con il Milan? Vediamo, vogliamo conoscerci»

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