Boban: «Il calcio è del popolo, dobbiamo proteggerlo. Sul Milan e Ibra...»
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Boban: «Il calcio è del popolo, dobbiamo proteggerlo. Sul Milan e Ibra…»

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Zvonimir Boban ha concesso una lunga intervista a SportWeek in cui ha parlato del suo nuovo ruolo e dell’amore per il Milan

Zvonimir Boban ha concesso una lunga intervista in cui ha parlato del suo nuovo ruolo e dell’amore per il Milan. Le sue parole a SportWeek.

CENTROCAMPO MODERNO – «I centrocampisti non tentano più il dribbling: gioco corto, palla laterale, palla indietro ma poche verticalizzazioni e quasi nessuno salta mai l’avversario».

RUOLO ATTUALE – «Mi piace quello che faccio, è sempre calcio anche se in chiave più istituzionale e politica. Avevo già ricoperto un ruolo simile alla Fifa per tre anni e mezzo. Sono stato lusingato quando Ceferin mi ha chiesto di lavorare con lui. Parliamo tanto italiano perché il direttore calcio è Marchetti e il capo degli arbitri Rosetti. Lavoro nell’ufficio del presidente e cerco di proteggere il calcio a volte anche da noi stessi: i ritmi diversi, le scelte fatte negli uffici possono facilmente far perdere l’anima. Non dobbiamo mai dimenticare che tutto parte sempre da un pallone fatto rotolare dai calciatori. Il calcio è un gioco del popolo: questa è stata e sarà sempre la mia visione di calcio. Non è populismo, è così».

MILAN – «È passata l’amarezza per l’addio. Nella vita ci sono cose peggiori dell’interruzione di un rapporto professionale. Credo di aver sempre avut le spalle larghe e la personalità per affrontare episodi negativi. Nessuno è privilegiato a tal punto da non portare mai una croce. Milano è sempre nel mio cuore e tifo Milan più di prima. La causa, ancora in corso, è con Elliott Funds, non con il Milan con cui non potrà mai essere in causa. Era, è e sarà sempre un grande amore. Seguo tutte le partite e sono felice del cammino dei ragazzi. Non sono ancora ai livelli da vero Milan, quello che io e Paolo Maldini avevamo in testa, ma è già una squadra competitiva. Erano necessari tre anni per ripartire: nel primo si fa pulizia, il secondo costruisci e nel terzo puoi competere. Io, Paolo e Ricky Massara eravamo una bella squadra con uno spirito forte. Per amore puoi sacrificarti, ma la dignità non va mai svendute. Sulle scelte fatte dal club il tempo mi ha dato ragione e la strada intrapresa ora è corretta, ma servono ambizioni da grande Milan».

IBRAHIMOVIC – «Alle 22.30 della vigilia di Natale mi squilla il telefono. Leggo il suo nome sul display e mi fa: “Complimenti, tu e il Milan avete preso Ibrahimovic”. Zlatan è unico, troppo forte, simpatico, guascone, ha una personalità che basta per una squadra intera. Per il vecchio Milan, quello che vinceva tutto, affidarsi a un trentottenne di ritorno sarebbe stato assurdo, quasi patetico. Quel Milan avrebbe preso Haaland o Mbappé. Ma nel momento che il Milan stava vivendo non esisteva nessun giocatore in quel momento capace di cambiare la storia e la mentalità del Milan meglio di Ibra. Il suo impatto è stato devastante. È un fenomeno e io personalmente lo ringrazierò sempre. In campo o fuori la sua presenza è essenziale. Ovviamente so quanto soffre a non poter giocare, ma resta fondamentale quello che trasmette e per come sta facendo crescere i giovani».

TONALI – «È fenomenale. Lo scorso anno è normale avesse delle difficoltà. Era abituato a giocare a Brescia come perno tra due incursori, il Milan gioca con il doppio centrale. Se oggi il Milan ha più controllo delle partite è soprattutto grazie a lui. Guida la squadra, ha i tempi, sa quando giocare lungo e corto, è dominante fisicamente, difende… Sandro è già molto responsabile, deve solo divertirsi di più e può diventare un top mondiale».

DANIEL MALDINI – «Mi sono emozionato anch’io per Paolo. In tribuna non c’era solo il dirigente del Milan, ma un papà. Tutti avremmo esultato come Paolo al gol del proprio figlio. Conosco Daniel da quando era bambino. È stato fantastico, bellissimo, fiabesco, ma soprattutto milanista perché nessuno come la famiglia Maldini rappresenta la storia del Milan.

PAOLO MALDINI – «Sono anche contento che Paolo sia rimasto, qualcuno doveva restare a difendere la squadra. È cresciuto tanto, ora è un dirigente di alto livello. Avere in società lui, come Baresi e Massaro, significa avere un vero cuore milanista che batte. È necessario, tra tanti amministratori, uomini di marketing, esperti di numeri e gente che non ama il calcio e capisce poco di Milan».

GAZIDIS – «Mi spiace veramente tanto per quello che gli è capitato. Gli auguro che guarisca al più presto».

SCUDETTO – «Non credo che questo Milan possa ambire allo Scudetto. Anche se gioca bene, ha ritmi di gioco e il controllo delle partite manca ancora qualcosa. Pioli ha fatto un ottimo lavoro. Secondo me, in certe partite più toste, si potrebbe sfruttare anche il 4-3-3 e una copertura diversa degli spazi. Le corse e le distanze sarebbero diverse e diminuirebbe il rischio infortuni. Ma non voglio entrare in cose tattiche. Per la favorita dico Napoli, poi Inter. Hanno qualcosa in più delle altre. Il calcio può essere imprevedibile ma la logica dice questo. Ovviamente, a priori non escludo il Milan».

DONNARUMMA – «Rinunciare a Donnarumma non è stato da Milan. Fatico ad accettarlo pur essendo Maignan un ottimo portiere. Se pensiamo al Milan come grande club non può perdere il migliore del mondo nel suo ruolo. Gigio è un fenomeno che può entrare nella storia del calcio. Non riesco a giustificare la sua partenza».

IDEA ALLENATORE – «L’idea c’era. Feci il corso Uefa Pro a fine carriera, ma poi ho avuto una grande nostalgia della mia terra, pur amando l’Italia da morire. Sono tornato in Croazia e non c’erano le condizioni per allenare. Mi sono occupato di giornalismo guidando la Gazzetta croata, poi la Fifa, il commentatore, il dirigente del Milan e ora l’Uefa. Sono rimasto sempre nel calcio, ma quando andrò via da questo mondo so che avrò questo rimpianto. Credo che avrei potuto dare tanto come tecnico, senza falsa modestia, ma ormai è tardi dato che ho 52 anni. È andata così».

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