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Weah: «Milan primo? Non sono sorpreso. Vincere è nel Dna rossonero»

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Weah ha parlato alla Gazzetta dello sport, l’ex attaccante rossonero ha espresso il proprio pensiero sul Milan attuale e sullo scudetto

Weah ha parlato alla Gazzetta dello sport, l’ex attaccante rossonero ha espresso il proprio pensiero sul Milan attuale e sullo scudetto.

POSSIBILITÀ SCUDETTO MILAN- «Chiaro, è in testa alla classifica».

NON SONO SORPRESO- «E perché dovrebbe? Stiamo parlando del Milan, mica di
una squadra qualsiasi».

TANTI ANNI DIFFICILI- «Sì, ma da diversi mesi ha iniziato un progetto preciso, brillante, concreto. Dovevano ritrovarselo stanno facendo, perché la cultura della vittoria fa parte del Dna rossonero. Ecco perché non sono affatto sorpreso».

I MERITI DI MALDINI- «Enormi. Paolo è un uomo umile, un gran capitano e un ottimo amico. Può darsi che io sia di parte, ok, però parliamo di una persona con un cuore immenso, e un gran lavoratore. Uno che ispira chi gli sta a fianco, che trasmette fiducia ora come faceva quando giocava, e ovviamente un grande leader per il gruppo, che sa ciò che bisogna fare per raggiungere gli obiettivi. Io non so se il Milan riuscirà a vincere lo scudetto, perché Juventus, Inter e Napoli sono grandi rivali e perché mancano ancora 20 partite e nel calcio le cose cambiano rapidamente. Però non ho dubbi sul fatto che possa lottare fino in fondo».

SU IBRA- «Un tipo forte e sicuro di sé, qualità che saltano all’occhio immediatamente. Ma dietro a questa immagine c’è molto altro: è uno che s’impegna al massimo ed è sempre concentrato al cento per cento sulla propria professione. Sono contento che il Milan l’abbia preso perché può essere molto utile al club nel lavoro con i giovani perché i ragazzi, tanto in prima squadra come nella Primavera, in lui hanno un grande esempio e una fonte d’ispirazione. Uno che possono ammirare e considerare un leader che li può guidare. È il migliore esempio di ciò che può fare un condottiero, sono contento per lui».

SULL’ETÀ- «L’età non conta. Mi vengono in mente due nomi, quelli di Pietro Vierchowood e Franco Baresi, due che hanno giocato a un livello altissimo fino quasi ai quarant’anni. E poi naturalmente lo stesso Paolo Maldini. Se lavori duro, mantieni intatta la passione e continui a divertirti giocando, l’età sparisce».

COME CRISTIANO RONALDO- «Esatto. Un altro grande esempio. È la testimonianza più alta di come grazie al lavoro e alla passione si possano raggiungere obiettivi sulla carta impensabili. La storia di Ronaldo ti dice che se credi di poter fare una cosa, la puoi fare.
Non è il migliore del mondo, ma si è allenato in maniera incredibile per diventarlo. Sono
un suo fan, perché non ha perso l’umiltà e si è guadagnato tutto ciò che ha, ha lottato metro per metro per arrivare dov’è ora».

PRIMO RIVALE SCUDETTO- «Dico Juventus per due motivi: perché da bambino tifavo per la Juve e perché vince da nove anni. Quando ero piccolo in Africa non arrivavano le immagini della Serie A, eravamo legati al calcio francese e facevano vedere le immagini di Platini in Italia, così mi affezionai alla Juve. Poi la vita mi ha portato al Milan e lì ho trovato una famiglia oltre ad un fantastico ambiente di lavoro. Il Milan mi ha dato tutto, ma il tifo per la Juve è rimasto. Però la cosa che più mi fa piacere è che la Serie A sia ritornata ad essere molto competitiva e divertente, questo è l’aspetto più rilevante».

L’INTER DI LUKAKU- «Sono contento che abbia lasciato l’Inghilterra per venire in Italia e stia dimostrando quanto è bravo. Non sempre nel corso della sua carriera è stato apprezzato come merita, per me è un grande giocatore. Se penso a lui ricordo la mia storia: quando decisi di muovermi dalla Francia all’Italia la gente mi diceva che da voi non
ce l’avrei fatta perché il campionato italiano è duro, complicato, tattico. Io mi trovai benissimo perché credevo nelle mie qualità e lo stesso mi sembra stia succedendo a Lukaku: era già un ottimo giocatore ed è migliorato ancora, lo trovo più completo rispetto al suo passaggio in Inghilterra».

SU PIRLO ALLENATORE- «L’osservavo in campo e vedevo un giocatore intelligente, sveglio e umile, era già un allenatore. Penso che i calciatori che oggi gestisce vedano in lui ciò che era quando giocava: un talento capace di pensare e realizzare cose fuori dalla portata di altri, fattore che genera rispetto e ammirazione. In panchina ha appena cominciato, la Juventus è una realtà ovviamente complessa ed esigente ma ripeto, io ho sempre pensato che questo fosse il suo mestiere».

RISATA D’AFFETTO SU GATTUSO-  «Il mio bimbo, bimbo Gattuso. Un ragazzo d’oro, furbo, sveglio, determinato, con una grande mentalità. Generoso, lottatore, uno che sa ciò che vuole e come prenderselo. E anche un amante del bel calcio: lui era un distruttore, sì, uno che pressava e aveva la cultura di un calcio fisico perché quello gli chiedevano e quello sapeva fare. Però Gattuso ha sempre amato il bel calcio e ha sempre avuto una mentalità vincente, ed è ciò che mi sembra voglia trasmettere alle sue squadre ora che allena».

SUL COVID IN LIBERIA- «La situazione è complicata, come in tutto il mondo. Fortunatamente stiamo limitando i contagi e i decessi, e mi permetta di trasmettere attraverso la Gazzetta tutto il mio cordoglio e l’affetto alle tante persone che in Italia hanno perso i loro cari in questi mesi. Qui in Liberia stiamo facendo del nostro meglio e non andiamo male, ma anche se contenuto, il coronavirus è devastante. Non abbiamo ancora ricevuto il vaccino, speriamo di poterlo avere quanto prima come gli altri».

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