Sacchi: «Ancelotti? Si impegnò il doppio per convincere Berlusconi»
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Sacchi: «Ancelotti? Si impegnò il doppio per convincere Berlusconi»

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Sacchi a Gazzetta dello sport racconta parla di Ancelotti nuovo tecnico del Real Madrid, di quello campione d’Europa e di quello del Milan

Sacchi a Gazzetta dello sport parla di Ancelotti nuovo tecnico del Real Madrid, di quello campione d’Europa e di quello del Milan.

SULLA SCELTA DI FLORENTINO- «Sapevo che il Real Madrid aveva in mente alcuni nomi di tecnici italiani e tra questi c’era
pure quello di Carlo».

GLI ALTRI ERANO CONTE E ALLEGRI- «Credo proprio di sì. Pensavo che Carlo stesse bene all’Everton, ma poi se arriva il Real come si fa a dire no? Nella scelta è stato decisivo il fatto che Carlo conoscesse l’ambiente. Lui ha tanta esperienza, è un grandissimo tecnico, ha vinto ovunque: Italia, Inghilterra, Germania, Spagna e Francia».

BENE I TECNICI ITALIANI- «Io sono felice di questo, significa che il nostro calcio qualcosa di buono lo produce. Conosco bene la mentalità del Real Madrid, di cui sono stato direttore tecnico. So che cosa chiedono a un allenatore: non vogliono la vittoria senza merito, non vogliono trionfare attraverso la furbizia come spesso si fa in Italia. Mi auguro che esportare allenatori sia un passo verso un nuovo calcio: se la Spagna negli ultimi dieci anni, ha vinto sei Champions e sette Europa League, e l’Italia è ferma a zero, vogliamo darci una svegliata? C’è bisogno di un calcio più coraggioso».

PER ANCELOTTI UNA RIVINCITA- «Carlo arrivò a Madrid nel 2013. Avevano l’ossessione della Decima Champions. Ricordo che dopo averlo ingaggiato Perez mi telefonò e mi disse: “Arrigo, gli hai spiegato che qui a Madrid bisogna essere padroni del pallone e del campo?”. Lo tranquillizzai e gli garantii che aveva fatto la scelta giusta: alla prima stagione vinse la Decima. E in quel trionfo la gente vide bellezza, dominio ed emozione. Poi la seconda stagione fu più altalenante, anche se portò a casa il Mondiale per Club, e ci fu il divorzio. Ma nel calcio sono cose che succedono».

SU DI LUI ALLENATORE- «Se dico che lo considero mio figlio, spero che non si arrabbi. L’ho voluto io al Milan nel 1987, anche se sapevo che aveva le ginocchia malmesse. Convinsi Berlusconi, gli dissi che con Ancelotti avremmo vinto lo scudetto. E in quella prima stagione ebbi modo di apprezzare le doti di umiltà di Carlo».

UN EPISODIO- «Lui aveva già 28 anni, era nel giro della Nazionale. Un giorno Berlusconi mi disse: “Lei ha voluto un direttore d’orchestra
che non conosce la musica”. Carletto non era ancora entrato nei meccanismi. Gli riferii la frase di Berlusconi e lui mi disse: “Cosa facciamo?”. “Semplice, – gli risposi – lezioni in più. Tu vieni al mattino, io chiamo i ragazzi della Primavera e proviamo tutte le situazioni che si
possono verificare in partita”. Carlo, che avrebbe anche potuto mandarmi a quel paese, accettò con entusiasmo e s’impegnò più di prima. Questa è la sua forza. E poi è una persona affidabile in un mondo che non sempre lo è. E’ preparato, tenace, modesto. Avete mai sentito
un suo giocatore parlare male di lui? Io no».

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