2015
Un epilogo scritto da mesi: Inzaghi sollevato, l’aspirante Ferguson si arrende

Quella di ieri sera a San Siro è la classica fine preannunciata. La società ha provato a rimandare il destino di Inzaghi sperando che qualche cosa si potesse aggiustare col tempo, e invece il tempo ha confermato l’inadeguatezza di una scelta, quella di mandare Pippo allo sbaraglio in Serie A, operata dal club con troppa fretta e senza il minimo riguardo verso l’eventualità di un fallimento che avrebbe intaccato l’onore conquistato da giocatore dall’ex numero 9. Una svolta tecnica resa obbligatoria dal rapporto tra giocatori e allenatore visibilmente lacerato, per quanto a fine partita lo stesso tecnico si sia premurato di smentire l’evenienza che la squadra abbia giocato contro di lui. Da settimane, per non dire mesi, c’è un gruppo che appare svuotato di quelle motivazioni che sono una delle premesse di base per buone prestazioni, e che nel calcio il più delle volte segnano il discrimine tra vittoria e sconfitta.
E non c’è invece la minima traccia di quel carattere a cui tante volte Inzaghi si è appellato in conferenza. Anzi, anche i rossoneri proverbialmente più dediti al sacrificio come De Jong e Bonaventura, alla lunga hanno alzato bandiera bianca. E quando rinvii così tante volte un atto che sarebbe soltanto sacro e legittimo, oltre che curativo per un uomo che in un anno di calcio è come se avesse perso dieci anni di vita, è inevitabile fare le scelte dell’ultima spiaggia: Cerci inventato finto attaccante e Honda riproposto sulla fascia dopo le abominevoli prove offerte, sono mosse che fa solo chi vede la destituzione dietro l’angolo e cerca con angoscia di trovare qualsiasi mezzo per salvare la pelle. Se ne va Pippo, finisce un ciclo, perchè menomale, la storia pregressa resta comunque indelebile.