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Milan, Galli dice addio: «Scelta sofferta. Che rimpianto Aubameyang»

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Dopo anni trascorsi a Milanello Galli non sarà più responsabile del settore giovanile rossonero, ecco la sua intervista

Filippo Galli lascia il Milan, è ufficiale. Dopo anni intensi trascorsi a Milanello come responsabile del settore giovanile, abbandonerà i rossoneri: «È una scelta che ho maturato mio malgrado, la società mi ha anche offerto di restare ma avrei dovuto rinunciare ai miei collaboratori, Edgardo Zanoli per l’area tecnica e Domenico Gualtieri per quella atletica, e accettare un nuovo responsabile (Beretta, ndr) scelto senza alcuna condivisione. Quella della società è stata una decisione legittima, ci mancherebbe, nessuna lesa maestà, però io per rispetto al nostro lavoro non potevo accettare. È un addio difficile come quello di smettere di giocare? Lo stato d’animo è quello, ma questa è stata una scelta indotta, perciò più sofferta. Io, lo dico senza alcuna polemica, non potevo accettare un ruolo di facciata. Al Milan lascio una buona eredità, un bel futuro»

Sul metodo di lavoro «È il metodo integrato. Noi pensiamo che il talento parta sì dal patrimonio genetico, ma debba crescere in un contesto. Non si possono separare le aree: tecnica, tattica, atletica, mentale, emotiva. Vanno sviluppate assieme. Si parte dal gioco: tutti i professionisti guardavano assieme le partite e commentavano. Anche il preparatore atletico e lo psicologo”. Nei metodi di allenamento nel vivaio rossonero al centro c’è sempre stata la palla: “Per noi vale il metodo della bicicletta: non è che si impara prima a stare sui pedali, poi a frenare, poi a tenere il manubrio. Si sale e, piano piano, s’impara tutto assieme. Per noi si lavora sempre con la palla. È stato Allegri a dare la spinta a questo approccio. Il calcio formativo deve basarsi su occupazione dello spazio, lettura dei tempi di gioco, riconoscimento della situazione numerica. Certe giocate da sole non servono a niente, il calcio è situazionale. Devo saper prendere la decisione giusta con la palla tra i piedi, questo è formativo, Il risultato? È importante, certo, ma come strumento metodologico perché con la vittoria il giocatore si convince dell’efficacia di quello che fa. Inter? È un modello completamente diverso, vero, l’Inter ha investito tanto e poi realizzato anche buone plusvalenze. Noi abbiamo portati molti in prima squadra. Soprattutto siamo convinti di aver fornito la conoscenza dei principi di gioco che possono servire in ogni contesto»

Sui rimpianti «Il rimpianto più grande? Ho allenato Aubameyang, ma era un contesto diverso, in cui i campioni te li andavi a comprare, non li crescevi. Cristante? Si poteva aspettare di più, ma si è pensato di raccogliere il massimo vendendolo a sei milioni al Benfica… Donnarumma? Gigio non andava scoperto, era lì da vedere, bisognava solo fare l’offerta. Già nel 2012 chi si occupava delle scuole calcio diceva di prenderlo»

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