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Maldini: «Mi sono arrabbiato con 4 giocatori perché prima di una partita…»

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Paolo Maldini in una lunga intervista ha rivelato alcuni dettagli interessanti sulla stagione rossonera appena terminata

Paolo Maldini, che nella giornata di ieri ha ricevuto una proposta interessante per ricoprire l’incarico di direttore tecnico del Milan, ha rilasciato una lunga intervista per Rolling Stone in cui ha parlato della stagione appena terminata:

«È la fine di un anno di tensione, ma sapevo che sarebbe stato così. Quindi ora sono tranquillo. Be’, diciamo che questi nove anni di pausa me li hanno fatti pagare tutti. Sarà che io so affrontare il lavoro – e ne ho fatti solo due nella mia vita, prima il calciatore e ora il dirigente – solo così, ma devo dire che ho trovato questa esperienza molto impegnativa. Decisamente di più rispetto alla carriera da atleta. Quando giocavo, finiti gli allenamenti avevo tempo per stare con la mia famiglia. Il dirigente, invece, non stacca mai con la testa. E il telefono suona in ogni momento».

Sulle finali da giocatore: «Certo, ma quella è una cosa “naturale”. Per chi è “nato calciatore”, come me, la vita da dirigente è molto più stressante. Anche perché questo è un lavoro di rapporti, che di per sé comportano una certa fatica, mentre prima dovevo solo pensare a giocare a calcio».

Sul nuovo lavoro da dirigente: «Be’, diciamo che stare in ufficio non è mai stato l’obiettivo della mia vita. Tornare a Milanello e partecipare alla vita della squadra, invece, è stato molto bello».

Sull’affetto dei tifosi: «Io credo che quello che uno ha fatto sul campo rimanga sempre, soprattutto in un posto in cui vige un forte senso di appartenenza come il Milan. E questo mi ha aiutato. Però il tifoso si aspetta sempre di tornare ai fasti di un tempo, è esigente per definizione. E poi non è che un buon calciatore sia automaticamente un buon dirigente».

Sul destino di San Siro: «San Siro è perfetto per chi ci gioca, il pubblico lì a due passi dà qualcosa di unico. Per chi guarda, invece, servirebbe un’esperienza migliore, ma questo si fa solo con uno stadio di proprietà».

Sugli ultimi 9 anni: «Qualcosa ho fatto, anche se sono un tipo riservato. Solo che di questi tempi sembra che se non comunichi una cosa, non l’hai fatta. Mi sono interessato a tante cose, ho dedicato del tempo ai miei figli in un momento fondamentale della loro crescita, sono stato all’estero, ho viaggiato. Anche da calciatore la vita per me non è mai stata solo calcio, e questo sicuramente mi ha aiutato al momento in cui ho detto basta. Quello non è mai un passaggio semplice per un atleta, visto che ti trovi all’improvviso a dover gestire da te un’esistenza che era sempre stata gestita da altri».

Poi Maldini racconta un episodio curioso: «Una volta, però, quest’anno mi sono arrabbiato, perché a un’ora e mezza da una partita del Milan ho trovato quattro nostri giocatori che guardavano il Superclasico River-Boca sul telefono. Su Dazn, per altro. Non bisogna farsi “invadere” dalla tecnologia».

Sugli stadi: «Parto da quello che non mi piace: gli stadi sono vecchi e vanno adeguati, perché fruire un match in una struttura degli anni ’50 o degli anni 2000 è completamente diverso. Invece mi sono piaciute alcune cose che ho visto in campo, il coraggio nel gioco che hanno dimostrato club “minori” come l’Empoli in questo finale di stagione. Non è un caso se oggi le nostre nazionali giovanili sono finalmente competitive».

Sul dilemma tra bel gioco e risultati: «Un dibattito sentito tante volte, da Boniperti in poi. Diciamo che tutti si ricordano delle vittorie, ma chi riesce ad ottenerle tramite il bel gioco raggiunge un livello superiore. Ma sono esperienze che si contano sulle dita di una mano nella storia dello sport».

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