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Calabria a Radio Serie A: «Mi vedo al Milan per sempre. Ecco qual è il mio sogno in rossonero. Su Leao, Pioli e il possibile scudetto dell’Inter nel derby…»

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Davide Calabria, capitano del Milan, ha rilasciato una lunga intervista a Radio Serie A: le sue dichiarazioni

Intervistato da Radio Serie A, Davide Calabria, capitano del Milan, ha dichiarato:

COSA SIGNIFICA IL MILAN – «Tutto, è stata la mia vita. Sono cresciuto in una famiglia milanista e andavo allo stadio prima di indossare la maglietta. E’ stato il mio percorso di crescita da quando avevo undici anni. Sono milanista da prima, mio zio ci ha provato con la Juve ma non ha funzionato. La prima volta a San Siro a 6 anni in Champions. Era il Milan di Ancelotti, una squadra incredibile: tra le più grandi della storia del calcio. Del Milan si parlava il giusto, non eravamo tanto malati perché i miei lavoravano tanto. Però quando c’erano le partite durante il weekend».

INIZI – «Sono cresciuto nella squadra di paese e ho cominciato a giocare a 5 anni con gli amici. Giocavo ovunque, a scuola e dopo. Sono partito come centrocampista, a cinque e poi sette. Ero più bravino in mezzo al campo e mi è sempre piaciuto stare in mezzo al campo, anche oggi».

IDOLI – «Avevo la foto di Kakà e qualche maglietta, non originale perché non potevamo permettercela ai tempi. Kakà era uno dei giocatori più forti della storia. Era uno dei calciatori preferiti insieme a Sheva. Quello che ha fatto per il Milan è stato davvero incredibile. I poster ti aiutano a sognare, prendi ispirazione. Ho avuto tanti giocatori al Milan che erano di ispirazione, potevi sceglierne uno a occhi chiusi. Vedere i tuoi idoli arrivare a quei livelli, ti danno qualcosa in più per arrivare dove sono oggi».

FAMIGLIA – «Mio papà faceva il muratore e mia mamma l’impiegata e poi ha aperto un bar. Ora ci sono io a dare una mano. Loro mi hanno insegnato la fatica, affrontare i periodi difficili anche economicamente. Lo spirito di sacrificio, la dedizione, il fatto che mi concedevano il loro tempo. Mio papà è stato più nelle retrovie per il lavoro, mia mamma è stata quella più fondamentale per me e che mi ha seguito più spesso. Penso che abbia sacrificato tutto per me e anche mio zio è stato molto vicino, quello juventino (ride, ndr). Durante le scuole medie i miei hanno evitato di accettare le offerte del Milan, Atalanta e Brescia. Abbiamo deciso di fare il salto più tardi. La fatica era il viaggio la mattina presto verso Brescia a scuola e poi mia mamma mi portava al pulmino che mi portava al Vismara. Al primo anno ho fatto tanta fatica ma poi inizi ad abituarti».

PRIMI MESI – «Si i primi mesi era abbastanza difficile ma ero fin troppo piccolo e i miei mi sono stati vicino. Anche il periodo durante il convitto, in Primavera, ho patito la distanza da casa a 16 anni. Non volevo smettere ma cercavo nuove soluzioni per stare meglio: la stavo patendo in quel momento, lontano dalla famiglia. Però i miei genitori e amici mi hanno sempre supportato. Mi hanno parlato e dicendomi che era quello che volevo fare: poi mi hanno lasciato sempre la libertà. Ma era davvero il mio sogno: non potevo e non volevo in realtà abbandonare. Sembrava un mollare. Lacrime? Sì, sono sempre stato chiuso e immaturo, il piangere può essere d’aiuto. Invece io ho sempre fatto fatica da questo punto di vista. Ma sono anche super determinato ad andare avanti e non mi andava di piangere».

SOGNO – «Il mio sogno era quello di arrivare a giocare in Serie A: penso di avere una letterina anche da qualche parte in cui dicevo di sognare di giocare la finale di Champions League… senza sembrare arrogante, ci ho sempre creduto. Questa cosa mi ha portato a uscire alla lunga rispetto ad altri ragazzi che avevano più talento. Piano B? Avevo spinto per la scuola di agraria e sono sempre appassionato del mondo del vino . Tutt’ora mi appassiona. Sapevo che era o il calcio o quest’altra strada».

RINUNCE – «Questo lavoro ti dà tantissimo a livello emotivo ed economico. Ovviamente negli anni precedenti ho rinunciato a fare una vita da ragazzino come tutti gli altri, ero limitato da questo punto di vista. Una cosa che mi pesa relativamente, essere cresciuto un po’ più in fretta. Solo privilegi? Ne abbiamo tantissimi ma ci arrivano davvero in pochi. Posso ritenermi fortunato ma non è scontato che vada tutto liscio come l’olio. L’andar via presto da casa, per esempio, non è così semplice. Anche per un genitore è difficoltoso».

PRIMO STIPENDIO – «Sono partito con il minimo. Son quasi sicuro che lo abbia gestito mia mamma, sicuramente una cena con gli amici: un’uscita al bar di mio papà. Avevamo fatto una mini festa».

PRIMO PROVINO – «Il primo provino con un mio amico. Anche solo indossare la maglietta per quell’oretta è stato bellissimo. Il mio amico era un portiere e c’è sempre stato dubbio se gli avevo fatto un gol o meno, me lo hanno convalidato. Lui non l’hanno preso: era molto forte ma un po’ bassino. Al primo non hanno preso neanche a me… Abbiamo scelto di rimandare, non era poi scontato che mi potessero riprendere. Ne ho fatto un altro dopo al Vismara e mi hanno preso».

RUOLO – «Facevo la mezzala in un centrocampo a tre, non giocavo molto nei primi anni: non ero troppo grosso fisicamente. A 14 anni con mister Inzaghi che, anche per necessità, mi ha spostato terzino sinistro e poi sono rimasto a destra e non mi sono spostato. Mi ha anche aiutato a usare il mancino: utile come percorso di crescita. Credo che l’essere più diligente dal punto di vista tattico è anche per l’aver fatto più ruoli a quell’età».

RINGRAZIAMENTI – «Direi Inzaghi, quello che mi ha messo titolare e mi ha tenuto fisso. Lo switch lo ha avuto con lui e poi mi ha fatto esordire in prima squadra. Direi anche Brocchi, perché nel metodo di gioco è stato molto utile a livello pratico e di intelligenza tattica».

ESSERE ALLENATO DAI PROPRI IDOLI – «Io sono sempre stato uno che non si tira indietro. Se ci sono problemi, anche se si alza la voce, fa parte del gioco. E’ uno sport dove si crea tensione e rivalità, normale avere questi momenti. Con Inzaghi ho avuto sempre un bellissimo rapporto e a 16 anni con una leggenda del genere è anche complicato. Un grande litigio che mi ha coinvolto? Sì, ne ho avuto più di uno. Il primo più difficile lo avevo avuto con Montella e non mi ricordo la motivazione, ci eravamo molto arrabbiati e si era creata un po’ di tensione. Ne approfitto per salutarlo (ride, ndr). Non è stato un momento piacevole ma ripeto capita e fa parte del gioco: l’importante è che si chiarisca».

PRIMI ANNI IN PRIMA SQUADRA – «I primi anni in prima squadra, il Milan era diverso e in un momento di difficoltà e di cambiamento. Era difficile portare avanti un percorso sia a livello umano che professionale. Non è stato un periodo bellissimo per il Milan ma come nella vita ci sono momenti e momenti. Il Milan è tornato e salirà sempre di più, come è stato negli anni d’oro».

SCUDETTO – «E’ stato il momento più alto. Arrivare a vincere dopo un periodo di difficoltà, è stato un bel percorso, soprattutto per me che arrivavo dal settore giovanile. Un’annata bellissima anche a livello umano, si sono creati bei legami con quei giocatori. Avere la foto qua a Milanello è stato bellissimo e spero di appenderne altre. A livello umano c’è stata una vibe super positiva, ci siamo trovati bene tutti anche chi giocava meno che è fondamentale».

PIOLI – «Bravissimo a inserirsi in un momento complicato per la squadra ma anche per lui. Questa situazione ci ha unito ancora di più: siamo partiti in difficoltà i primi tempi ma toccando il fondo siamo dovuti risalire con unghie e denti. Lui non ha mollato e ha creduto nel lavoro. Così è stato dal primo all’ultimo membro dello staff, unendo il gruppo che ha vinto».

MOMENTO CLOU – «Il primo è stato due anni prima, quando abbiamo preso una bella batosta a Bergamo. Ma penso che ci sia stato anche il derby con la doppietta di Giroud. Ma anche quella partita rocambolesca con lo Spezia, con il gol annullato. Sono stati più momenti: anche qualche confronto qua a Milanello che all’interno di una stagione è fondamentale per ricompattarsi. Normale che capitino momenti di tensione: ma non si parla di cazzotti in faccia ma un confronto che porti benessere alla squadra».

FASCIA DI CAPITANO – «La fascia pesa assolutamente tanto, una delle più importanti del calcio. Ti porta più responsabilità dal punto di vista umano, poi viene il campo. Fondamentale riuscire a essere una grande persona ed essere esempio o ispirazione: dai bambini più piccoli agli adulti che seguono questa squadra e questo sport. Ti dà un peso ma che è bello da poter portare».

PREDECESSORI CON LA FASCIA – «Ci penso sempre. Sono cresciuto guardando questi giocatori. Baresi era uno degli idoli di mio padre. Ho giocato con i figli di Paolo Maldini e averlo conosciuto è stato un onore. Ci penso spesso ed è una grande responsabilità».

MALDINI – «Mi ha insegnato la pazienza. L’ho sempre visto in qualsiasi momento sempre molto pacato, con il giusto atteggiamento e i giusti modi. Affrontare lo sporti, momenti belli e brutti, con la giusta maturità».

RIMANERE AL MILAN – «Non credo di voler far parte fisicamente post carriera, anche se è ancora presto. Per me questa fascia e questa maglia saranno sempre parte di me. Rappresenterò sempre il Milan, anche questa è una grossa responsabilità. Da calciatore? Si mi vedo qui, perchè no? Non me lo sono mai chiesto ma qui sono cresciuto e continuare a far parte di questa famiglia mi piacerebbe molto».

FASCIA A BONUCCI – «Una scelta in quel momento della società. Leo si è sempre comportato bene con noi, sempre sincero e un super professionista. L’ho avuto anche come compagno di nazionale e posso solo parlarne bene. Capisco che la gente possa avere pensieri diversi ma umanamente è una persona eccezionale, in quel momento ci ha messo tutto l’impegno che poteva dare. Sono state scelte di altre persone che per noi contavano relativamente dal momento che volevamo solo remare dalla stessa parte».

BANDIERA DEL MILAN – «Fa strano. Essere cresciuto guardando tantissimi fenomeni… Ho 27 anni e non mi reputo ancora così vecchio anche se ne ho passate tante con questa maglietta. Posso dire di sì, se sono rimasto qui vuol dire che qualcosa c’è. Posso rivedermi in questo termine».

POSSIBILE ADDIO IN PASSATO – «No, nè io nè la società abbiamo avuto grossi problemi nell’andare avanti. Siamo sempre stati molto aperti al dialogo. Ovviamente ci sono stati momenti in cui abbiamo ragionato insieme se era il caso di prendere strade diverse o meno. Ma alla fine si è continuato insieme».

GIOCATORE PIU’ FORTE – «Con Kakà mi sono allenato: uno degli idoli, ritrovarselo in allenamento è stato fantastico. A livello di puro talento, Menez, essendo il primo anno in prima squadra, mi aveva impressionato. Non parlo dei miei compagni attuali, ce ne sono tanti forti».

LEAO – «E’ una risata, la gioia di giocare. Ha un talento innato e una marcia in più. Lui deve riuscire a rimanere sereno e poi il campo parla per lui. Per quanto possa sembrare avere giornate altalenanti, poi i numeri parlano per lui. Se capirà il talento che ha può diventare uno o il giocatore più forte del mondo. E’ da Pallone d’Oro, con quelle qualità fisiche innate non ne vedo tanti. Se avesse istinto killer di Mbappè, può essere da Pallone d’Oro».

TORNARE AI LIVELLI DEL MILAN DI QUALCHE ANNO FA – «Più complicato rispetto agli anni passati. Entrano in ballo anche situazioni economiche differenti. Ma abbiamo dimostrato che anche non facendo mercati faraonici si può arrivare ad alzare il livello anno dopo anno. Più complicato rispetto a prima e siamo dietro dal punto di vista economico e di immagine rispetto alla Premier League. Ma non c’è niente di possibile, un giorno si può arrivare lì: sono super fiducioso»

SECONDO POSTO – «Quello che volevamo era vincere. Bisogna essere lucidi ed essere chiari che l’Inter sta facendo un campionato fuori dal comune. Bisogna essere onesti con noi stessi e con tutti e dire “bravi” per quello che stanno facendo. Il nostro campionato lo stiamo facendo alla grande, abbiamo il ritmo dello scudetto. L’obiettivo era fare meglio possibile e dal punto di vista numerico stiamo facendo il meglio possibile».

SCUDETTO INTER NEL DERBY – «E’ ancora presto, ce ne sono di partite prima, ma noi le vogliamo vincerle tutte: quindi non accadrà».

NAZIONALE – «Una domanda interessante. Penso che qualche volta sono arrivati infortuni a ridosso della nazionale, credo che il mister Mancini abbia fatto le sue scelte, non era compito mio giudicarle, e poi lo hanno portato alla vittoria dell’Europeo. Non è mai scattato l’amore reciproco per far sì che si creasse una situazione di convocazione continua. Io faccio del mio meglio qua e sono contento qua. Se arriva la nazionale, sarò contento».

TATUAGGIO DI DRAGON BALL – «Il mio drago è il Milan. Il mio desiderio? Vincere la Champions League come avevo detto da piccolo».

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